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La "Città Greppiana"
Uno dei principali cambiamenti nella storia di Dalmine fu sicuramente l’avvento della società tedesca Mannesmann nel 1906, che realizzò un complesso siderurgico rivoluzionario e all'avanguardia in Europa, quello per la produzione dei tubi di acciaio senza saldatura con un particolare processo brevettato, che proiettò il paese in una dimensione europea. Il nuovo insediamento cambiò la secolare geografia del territorio: il piccolo borgo, centro rurale della Bassa Bergamasca, aprì le porte all’industrializzazione e conseguentemente a radicali mutamenti socioculturali, abitativi, demografici e lavorativi. Il piccolo paese comincia a cambiare la sua fisionomia, vede aumentare la popolazione residente, il numero delle case e degli edifici ad uso pubblico e privato. Dal 1924 infatti iniziarono a sorgere, grazie al progetto dell’architetto Giovanni Greppi, le prime strutture dedicate alle maestranze della fabbrica, che andarono a costituirsi in due quartieri: uno per gli operai, detto Bagina, lungo la strada per Mariano al Brembo, semplici casette con appartamenti per i capi officina e per una parte delle maestranze. Il villaggio destinato ad accogliere le famiglie dei dirigenti e degli impiegati, fu costruito invece da tutt'altra parte, verso Sabbio, e si compose di eleganti villette, il quartiere Leonardo da Vinci, immerse nel verde.
Il progetto del Greppi per la company town dalminese si fuse con la realizzazione degli edifici del potere amministrativo, istituzionale e politico.
Al centro della vita della città resta la fabbrica. Su Piazza 20 marzo 1919, ora Piazza Caduti 6 luglio 1944, il palazzo della Direzione chiude a sud la strada, oggi via Mazzini, che proviene da nord. L’effetto ottenuto è quello di monumentalizzare la via su un edificio rappresentativo, quello della Direzione aziendale.
HTMLText_F504D28D_DB4B_F3B3_41E2_A9DE1DF781FD.html = Chiesa parrocchiale Santa Maria d'Oleno in Sforzatica
Considerata l’edificio più antico e di maggior rilevanza artistica presente sul territorio comunale, venne edificata in tempi remoti, tanto da essere citata già in documenti risalenti al 909, in luogo di un precedente edificio di culto pagano riconducibile all’epoca dell’insediamento romano in Val Padana, del quale si possono ancora intravedere alcune tracce.
L'edificio di culto dal classico orientamento liturgico è preceduto dal sagrato e la facciata è anticipata dall'ampio porticato retto da colonnine con volta a crociera che regge la parte superiore dove vi è l'abitazione del sagrestano, con cinque finestre corrispondenti ai cinque archi. Il secondo ordine è tripartito da quattro lesene coronate da capitelli d'ordine corinzio che reggono la trabeazione con fregio e il cornicione a conclusione della facciata. La parte centrale presenta una grande apertura rettangolare con contorni atta a illuminare l'aula, mentre due nicchie dove sono poste le statue di Ester e Giuditta sono poste lateralmente. La parte superiore culmina con il timpano triangolare dove, all’apice, vi è la statua di un angelo che regge una croce ferrea.
L'interno della chiesa a navata unica, con volta a botte preceduta dalla bussola lignea, si compone di tre campate e si presenta completamente stuccata e decorata. Nella prima campata a sinistra vi è il fonte battesimale inserito nella cappella a pianta semiottagonale e, corrispondente a destra, troviamo il dipinto raffigurante San Francesco Saverio. La seconda campata è dedicata alla zona penitenziale con un ingresso laterale. Nella terza vi sono due cappelle tra cui quella dedicata alla Madonna del Carmine che ospita la statua lignea opera di Angelo Virgilio Vavassori. La zona presbiterale, sopraelevata da tre gradini, è anticipata dall'arco trionfale con a fianco la cappella del Crocifisso e l'ingresso alla sacrestia e al campanile. Il coro ligneo conclude la zona absidale completo di 17 stalli.
Da notare sul piazzale della chiesa il monumento al Papa bergamasco Giovanni XXIII, futuro santo, opera dell'artista Alessandro Verdi eseguito su tubolare Tenaris nel 2000.
HTMLText_E93449D0_DB4F_3151_41E8_7C366A2496F8.html = L'Antenna di Dalmine
Al centro della piazza si erge l’asta tubolare portabandiera, ai lati si affacciano il Palazzo del Comune, la Casa del Fascio e il Dopolavoro aziendale.
L’Antenna di Dalmine è un’asta tubolare rastremata portabandiera, prodotta dalla Dalmine e donata alla città nel 1936. Con 60 metri di altezza, 7.500 kg di peso e un basamento da 600 mm, sulla cima sostiene il tricolore.
La Casa del Fascio è inserita nel contesto di Piazza Libertà e inaugurata anch’essa nel 1936. In facciata resta il bassorilievo di Ruperto Banterle che rappresenta due soldati, armati e in marcia, guidati dalla personificazione della Vittoria, verso cui è orientato anche l’operaio intento al lavoro all’incudine.
Il Dopolavoro aziendale, dedicato all’aviatore Antonio Locatelli e inaugurato nel 1936, affaccia su Piazza Libertà. Dedicato alle attività ricreative e del tempo libero dal lavoro, è suddiviso in tre sezioni: ricreativa, sportiva e artistico-culturale.
L’edificio che attualmente ospita i locali della Biblioteca Comunale è frutto della parziale ristrutturazione dell’ex castello Suardi, di cui resta la Torre. L’azienda acquisisce l’edificio storico nel 1933 e dalla sua trasformazione ricava la mensa per gli operai, alcune abitazioni e la Cooperativa di consumo. La mensa, in funzione dal 1935, ospitava oltre 1.000 operai per turno.
HTMLText_E99567C7_DB49_71BF_41C1_41CB38106C70.html = Rifugio antiaereo di Via Trieste
I rifugi antiaerei di Dalmine rappresentano una testimonianza significativa della storia locale durante la Seconda Guerra Mondiale. Costruiti nel 1943, questi rifugi antiaerei furono progettati per proteggere la popolazione e i lavoratori delle acciaierie Dalmine dai bombardamenti alleati. Già nel 1939, il territorio di Dalmine venne suddiviso in "settori di esodo", con la costruzione di trincee e ricoveri. Nel 1943, furono realizzati due rifugi antiaerei principali:
Rifugio del quartiere Garbagni (via Trieste): destinato agli operai, con una capienza di circa 500 persone.
Rifugio del quartiere Leonardo Da Vinci: riservato a impiegati e dirigenti, con una capienza di circa 360 persone.
La costruzione impiegò circa 10.000 quintali di cemento, 350.000 mattoni, 60.000 mattoni forati e 150 tonnellate di ferro. Entrambi i rifugi si trovano a circa 20 metri di profondità e sono accessibili tramite scale a chiocciola. Le gallerie, lunghe rispettivamente 60 e 45 metri, hanno pareti in calcestruzzo non armato spesse 50 cm, rivestite internamente con mattoni forati e intonacate con malta di cemento per isolare dall'umidità. All'interno, erano presenti locali per il pronto soccorso, impianti di ventilazione forzata (azionati anche manualmente tramite una "bicicletta" in caso di mancanza di elettricità), servizi igienici e collegamenti telefonici con il centralino dello stabilimento. Il 6 luglio 1944, Dalmine subì un pesante bombardamento da parte di aerei alleati, che causarono 278 vittime e circa 800 feriti. Purtroppo, i rifugi rimasero inutilizzati poiché l'allarme non fu diramato in tempo, impedendo alla popolazione di mettersi al sicuro.
Oggi è possibile visitare i bunker di Dalmine attraverso tour guidati organizzati di circa 45 minuti.
## Tour
### Description
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tour.name = Comune di Dalmine